Autodichiarazione per gli spostamenti durante l’emergenza sanitaria legata al COVID19 e reati di falso

IUS LAB APULIA

Le circostanze contingenti legate alla pandemia del virus COVID19 hanno costretto il governo a limitare, tramite decretazione d’urgenza, alcune nostre libertà fondamentali quali, prima fra tutte, quella di potersi spostare liberamente.

Atteso che le conseguenze amministrative o penalistiche (in caso si sia sottoposti a quarantena od affetti da COVID 19) conseguenti all’ingiustificato spostamento dalla propria abitazione sono già state ampiamente oggetto di disamina, si ritiene opportuno in questa sede analizzare quali conseguenze, penalistiche, possono assumere le eventuali false dichiarazioni rilasciate alle autorità preposte al controllo per giustificare i propri spostamenti.

Per farlo occorre partire dal modello di autocertificazione in vigore, in cui  il soggetto dichiara di ” essere a conoscenza delle misure di contenimento del contagio vigenti alla data odierna ed adottate ai sensi degli artt. 1 e 2 del decreto legge 25 marzo 2020, n.19, concernenti le limitazioni alle possibilità di spostamento delle persone fisiche all’interno di tutto il territorio nazionale ”, nonché  di essere a conoscenza sia delle eventuali ulteriori limitazioni disposte con provvedimenti del proprio Presidente delle Regione sia, in caso di spostamento interregionale, di quelle eventualmente disposte dal Presidente di Regione  di arrivo.

Tale formula, che prima facie può sembrare una formula di stile appare, a parere di chi scrive, una compressione del diritto di difesa.

Se infatti già ordinariamente vige il principio penalistico per cui l’ignoranza della legge non esclude la responsabilità penale, è altrettanto vero che in questa fase, caratterizzata da norme che si affastellano assai velocemente, non è affatto agevole per il comune cittadino comprendere e conoscere sia i dettati normativi nazionali sia, soprattutto, tutti i  provvedimenti regionali. Ben vi potrebbero essere dei casi quindi in cui un soggetto potrebbe invocare l’elemento soggettivo della colpa per il quale, attesa la natura dolosa dei reati di falso, conseguirebbe l’assoluzione; ma tale formula (che quindi si rileva tutt’altro che di stile) preclude tale strategia difensiva. Si ponga l’ esempio idi un autotrasportatore chiamato, per svolgere la sua attività, ad attraversare più regioni. Pretendere di firmare questa dichiarazione equivale a pretendere che si dichiari il falso al solo scopo  di evitare che questo soggetto, un domani, possa difendersi contestando di non conoscere una normativa regionale magari entrata in vigore da pochi giorni (circostanza questa invero senz’altro verosimile).

Ciò premesso, i possibili reati che possono essere contestati in seguito alle false dichiarazioni rilasciate in sede di controllo sono quelli previsti e puniti dagli articoli 483 c.p. e 495 c.p., articolo quest’ultimo che si ritiene dover esaminare per primo atteso che viene richiamato esplicitamente nel modello di autocertificazione.

L’art. 495 c.p. punisce “chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l’identità, lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona”.

Pare evidente che le falsità in merito alle ragioni dello spostamento non integrano il reato di cui all’art 495 c.p.. Occorre piuttosto comprendere cosa si intenda per qualità ed, in particolare, se l’eventuale falsità circa lo stato di sottoposizione a quarantena  o la propria qualità di persona affetta da COVID 19 rientrino o meno in tale nozione.

Coloro i quali ritengono che tali elementi rientrino nella nozione di qualità lo ritengono soprattutto sulla scorta della recente sentenza 26 settembre 2019, n. 44111 della V Sezione Penale della Corte di Cassazione che ha esteso la nozione di qualità ricomprendendo “altri connotati della persona, integrativi o sostitutivi che siano, se una particolare norma collega loro effetti giuridici”

A parere di chi scrive, il divieto di analogia in malam partem obbliga però ad una lettura rigorosa anche di questa sentenza e del caso specifico che esamina.

Tale sentenza analizza infatti il caso di un soggetto che ha dichiarato falsamente di essere persona convivente di un soggetto detenuto al fine di poter avere con quest’ultimo un colloquio carcerario. Orbene, la falsità in questo caso concerne, come specificato dalla stessa Corte, una condizione inerente ai rapporti intersoggettivi. Questo consente di ritenere che le “altre qualità” previste dalla norma debbano comunque essere riconducibili all’identità od allo stato del soggetto.

Coerentemente, se mentire in ordine allo status di soggetto libero o coniugato attiene appunto allo stato del soggetto, lo stato di convivente, ad esso strettamente correlato e foriero, come sostiene la Cassazione, di ulteriori effetti giuridici ad esso strettamente correlato (nel caso di specie: la possibilità di intrattenere un colloquio carcerario che invece sarebbe precluso), rientra nella nozione di altra qualità.

Ma oltre non si può andare, pena una dilatazione eccessiva dell’ambito di applicazione della fattispecie criminosa e quindi una violazione del divieto di analogia in malam partem.

Tale diversa lettura della sentenza esaminata si pone anche in linea con l’orientamento prevalente per il quale “la nozione di “altra qualità della propria o altrui persona”, di cui all’art. 495 cod. pen., comprende soltanto le dichiarazioni o attestazioni che si riferiscono alle condizioni della persona e che concorrono ad individuare il soggetto e a consentire la sua identificazione.” (ex plurimis Cassazione penale sez. V, 19/01/2016, n.9195)

Ne conseguirebbe che, tramite tale interpretazione, dichiarare il falso in ordine allo stato di persona sottoposta a quarantena od affetta da COVID-19 non integrerebbe il reato di cui all’art. 495 c.p.

Per di più, pare quasi illogico che un soggetto possa auto certificare il proprio stato di salute, ed in particolare di una malattia, quale quella in oggetto, che nella maggior parte dei casi è asintomatica.

Con riferimento invece alle dichiarazioni rilasciate al pubblico ufficiale e concernenti i motivi per i quali ci si è spostati dalla propria abitazione, la relativa eventuale falsa dichiarazione  può invece, in taluni casi,  integrare il meno grave reato di cui all’art 483 c.p. che punisce “chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità”.

Non è questa la sede opportuna per dilungarsi sulla necessità o meno che l’obbligo giuridico di dire la verità sia positivizzato in una norma giuridica o se basti, come ritiene altra parte della giurisprudenza e della dottrina, che dal fatto oggetto di mendacio derivino o meno degli effetti giuridici. Infati, sia accedendo ad una tesi che all’altra, nel caso di specie avremmo la configurabilità del reato di cui all’art. 483 c.p.

Occorre piuttosto specificare quale falsità può o meno integrare il reato in questione.

Infatti, secondo giurisprudenza largamente maggioritaria ad essere punita è la falsità su di un fatto, intendendosi con tale nozione un accadimento già avvenuto, e non la falsità concernente una mera dichiarazione di intenti.

In altri termini: integrerebbe e costituirebbe reato aver dichiarato il falso su ciò che si è compiuto (es.: sono uscito per comprare delle medicine) e non su ciò che si sta per compiere (es.:sono appena uscito di casa perché sto andando a comprare delle medicine).

E’ quindi fondamentale comprendere l’oggetto della falsa dichiarazione a seconda che questa riguardi un fatto già avvenuto o compiuto o, al contrario, un fatto che si sta per compiere o che si ha l’intenzione di compiere.

Ovviamente poi le annotazioni degli agenti di P.G. saranno poi determinanti nel fornire o meno un sufficiente quadro accusatorio.

A tal proposito occorre analizzare l’ipotesi, residuale, in cui sia il cittadino sia il Pubblico Ufficiale sia sprovvisto di autocertificazione.

In tal caso eventuali dichiarazioni rilasciate a verbale non integrerebbero il reato in quanto il verbale di Polizia Giudiziaria, per quanto atto pubblico, non è, per giurisprudenza consolidata, un atto destinato a provare la verità di quanto dichiarato e che pertanto, non sussiste alcun obbligo di dire la verità in capo al privato. Pertanto, la falsa dichiarazione rilasciata non nell’autocertificazione ma a verbale, non integrerebbe il reato di cui all’art, 483 c.p.


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