La riforma del reato di abuso di ufficio, ovvero l’eterna lotta tra Diritto Amministrativo e Diritto Penale.

IUS LAB APULIA

PROBLEMATICHE GENERALI INERENTI AL REATO DI ABUSO D’UFFICIO E DEI MOTIVI CHE NE HANNO ISPIRATO LA RIFORMA

Il reato di abuso d’ufficio è da sempre considerato uno degli esempi di norma penale parzialmente in bianco, ovvero di una fattispecie che in sede penale rileva solo unitamente all’inosservanza di norme regolate da altra materia, nel caso specifico quella amministrativa.

Non stupisce quindi che il reato di abuso di ufficio sia sempre stato al centro di una disputa segnando, in un certo senso, la “Linea Maginot” fra diritto penale e diritto amministrativo e diventando uno dei simboli di quello che è stato chiamato “panpenalismo”, ovvero il talvolta pervasivo controllo del diritto penale (e per estensione della magistratura) su altri ordinamenti, nel caso di specie quello amministrativo.

Nella prassi giudiziaria è del resto frequente il caso che un atto amministrativo non venga impugnato nella sua sede naturale, cioè quella amministrativa, ma che allo stesso tempo la sua legittimità sia posta al vaglio in un processo penale, con la iniqua conseguenza che un atto continua ad essere vigente e produttivo di effetti nell’ordinamento mentre ad essere perseguiti penalmente sono i suoi autori.

La riforma si pone quindi l’obiettivo di arginare tale fenomeno e non è un caso che essa sia stata inserita nel decreto semplificazioni in quanto, spesso, lo spettro del processo penale porta a quella che, con un parallelo efficace con la scienza medica, è stata definita “amministrazione difensiva”; ovvero un atteggiamento eccessivamente prudenziale da parte soprattutto dei funzionari pubblici.

Per perseguire tale finalità il legislatore opera una perimetrazione più rigorosa dell’ambito di applicazione del reato di abuso di ufficio che (fermo restando l’elemento soggettivo dato dal voler provocare un ingiusto vantaggio patrimoniale od un ingiusto danno), viene ora ancorato alla specificità della regola di condotta violata ed alla mancanza di discrezionalità dell’atto, ma soprattutto viene introdotto il principio per cui la norma violata deve essere una Legge od atto avente forza di Legge.

LE MODALITA’ DI CONDOTTA DEL REATO

IL VENIR MENO DEL REATO NEI CASI DI EMANAZIONE DI PROVVEDIMENTI CONNOTATI DA DISCREZIONALITA’ AMMINISTRATIVA

Ciò premesso, l’art. 23, comma 1, D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 settembre 2020, n. 120 ha riformato il reato di abuso d’ufficio stabilendo che “salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da uno a quattro anni.”

Questa nuova formulazione dell’illecito si presta a diverse intepretazioni potenzialmente in grado di allargare o restringere il campo di applicabilità della norma.

Una prima lettura più rigorosa e letterale esclude dal campo di applicazione del nuovo reato di abuso di ufficio quegli interventi connotati da discrezionalità amministrativa, rientrando quindi nell’orbita dell’abuso di ufficio solo gli atti vincolati in relazione ai quali l’amministrazione ha operato in aperta violazione di legge.

Una seconda lettura, apparentemente più estensiva della norma, tiene in considerazione taluni aspetti tipici del procedimento amministrativo come ad esempio la circostanza che spesso, anche nelle norme che disciplinano il procedimento di adozione di un atto discrezionale, vi possano essere violazioni obiettive di legge.

A parere di chi scrive, questa seconda intrpretazione non è in contrasto con la prima, in quanto la violazione di legge rilevante può anche esserci nella fase endoprocedimentale che porta all’adozione di un provvedimento di natura discrezionale. Occorrerà però, per i motivi che si andranno di seguito a specificare, valutare se tale violazione abbia ad oggetto un atto avente forza di legge e non ad esempio un regolamento. In tale ultima ipotesi tale interpretazione della norma sarebbe una interpretazione in malam partem e pertanto da escludersi per i motivi che sono innanzi meglio specificati.

Una terza lettura, questa ancor più rigorosa della prima, prevede invece che esulino dal campo dell’abuso di ufficio così come novellato anche quegli atti connessi ad una norma la cui portata precettiva sia oggetto di diverse interpretazioni, anche giurisprudenziali o dottinali. Si tratta in altri termini della espulsione dall’orbita di cognizione del giudicato penale della “discrezionalità valutativa” e della “discrezionalità tecnica”.  Tale ultima interpretazione pare quella maggiormante conforme ai lavori preparatori che hanno accompagnato l’approvazione della norma (lavori preparatori in verità piuttosto scarni, ma ciò è dovuto probabilmente all’iter legislativo in quanto tale novella legislativa è stata affidata alla decretazione d’urgenza).

Inoltre tale interpretazione appare quella maggiormente in grado di arginare il sindacato penale sul fenomeno dell’eccesso di potere della Pubblica Amministrazione, che poi è il vero campo di battaglia fra ordinamento penale ed amministrativo, soprattuto laddove si consideri quella giurisprudenza, estremamente criticata, che ha ritenuto configurabile l’eccesso di potere anche sub specie dello sviamento di potere, entrando così a piedi uniti non solo nel campo proprio del diritto ammistrativo ma anche di quello politico.

LA VIOLAZIONE DI LEGGE OD ATTO AVENTE FORZA DI LEGGE                             

Il secondo e probabilmente più efficace aspetto preso in considerazione dalla riforma è quello della natura della norma violata. Se prima si faceva riferimento alla violazione di norme di legge o di regolamento, ora il riferimento, assai più circoscritto, è alla legge o ad atti avente forza di legge.

In altri termini, qualora la violazione attenga a norme di rango secondario, non può trovare applicazione l’art. 323 c.p..

Ciò è probabilmente il vero aspetto deflagrante della novella legislativa in quanto il procedimento amministrativo è molto di frequente composto da una stratificazione di norme e di regolamenti, basti pensare alla materia dell’urbanistica, che si compone anche degli strumenti urbanistici comunali e regionali, oppure alla materia degli appalti, che vede immancabili richiami alle linee guida dell’ANAC.

Alla luce di tale riforma, tali violazioni non sono più punite, in quanto la violazione presa in considerazione della novella è solo la violazione di una norma di rango primario.

L’OBBLIGO DI ASTENSIONE

La nuova formulazione del reato di cui all’art. 323 c.p. conserva la previsione, quale seconda possibile modalità di condotta integrante il reato, del compimento dell’atto “in presenza di un interesse proprio, di un prossimo congiunto o negli altri casi previsti”.

Tale elemento è una estrinsecazione del principio di imparzialità della Pubblica Amministrazione già previsto dall’art. 97 della Costituzione. Sul punto, occorre un breve inciso: non si ritiene condivisibile l’interpetazione per la quale con tale riforma non sia più punito il vizio di imparzialità dell’atto amministrativo. Infatti, tale principio continua ad essere tutelato, oltre che dall’obbligo di astensione, anche dall’art. 97 della Costituzione, la cui portata precettiva è stata ripetutamente valorizzata dalla Cassazione e viene esplicitamente richiamata dall’art. 323 c.p. laddove appunto punisce la violazione di un atto avente forza di Legge.

Ciò premesso, i maggiori dubbi interpretativi circa la portata dell’obbligo di astensione sorgono con riferimento alla locuzione “negli altri casi previsti”.

Sul punto la Cassazione ha già specificato che quest’obbligo di astensione opera a prescindere da una violazione di legge, motivo per cui si ritiene che la fattispecie in questione, sul punto non modificata, conservi un dovere generale e diretto di astensione per i pubblici agenti che si trovino in una situazione di conflitto di interessi anche in assenza di una specifica disciplina dell’astensione, così come nel caso in cui tale disciplina dell’astensione non abbia carattere cogente.

L’elemento di distonia è dato dal fatto che mentre la violazione delle specifiche regole di condotte devono esplicitarsi in una violazione ad una legge o ad un atto avente forza di legge, l’aver adottato un atto in presenza di un conflitto di interessi rileva come condotta caratterizzante l’abuso d’ufficio anche se la disciplina del conflitto d’interesse non trovi la sua fonte in una norma di legge.

CONCLUSIONI

A parere di chi scrive, quella che parrebbe essere quindi una forte limitazione della repressione del tipico illecito di natura amministrativa pare invece una restituzione, al giudice amministrativo, del proprio sindacato. Infatti è innegabile che in controluce con l’espansione del sindacato penale sull’operato del potere amministrativo si legge una vera e propria sfiducia, da parte del giudice penale, verso il potere amministrativo ma anche verso la relativa giurisdizione.

Piuttosto, il pericolo di una deresponsabilizzazione degli amministratori pubblici è assai più fondato se posto in relazione al meno pubblicizzato allentamento della responsabilità erariale che non in relazione ad un restringimento del campo di applicazione del reato di abuso d’ufficio.  

Ciò è confermato da un dato statistico estremamente importante che ha preceduto la riforma (sia pur limitato agli anni 2016 e 2017), ovvero che a fronte di circa 7.000 contestazioni per abuso di ufficio, si è addivenuti a circa 100 sentenza di condanne, dato che fonda il legittimo sospetto su come l’abuso di ufficio sia stato il cavallo di Troia usato dalla magistratura per esercitare un sindacato sull’attività politica prima ancora che su quella amministrativa.

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